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Centro dei Servizi Sociali

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Centro dei Servizi Sociali

Il progetto dell’edificio è di Luigi Figini e Gino Pollini (1955-1959), a seguito di un concorso a inviti promosso dalla Olivetti. Al progetto e alla realizzazione dell’edificio concorrono Roberto Guiducci e Paolo Radogna, tecnici di produzione della Olivetti.

L’edificio corre parallelo alle Officine ICO ed è composto da due corpi di fabbrica raccordati da un corpo verticale autonomo che permette allo stesso di seguire l’andamento del corso, e da una pianta anch’essa esagonale, leggibile anche nella struttura a vista dell’edificio che si sviluppa su tre piani, tra loro sfalsati. Il piano terra è caratterizzato da un portico sorretto da pilastri esagonali, dislocati ogni due nodi della maglia strutturale, obbligando così il raddoppio – visibile – della trave di collegamento. Il portico è costellato da pozzi di luce e tagli nella copertura ad aprire lo spazio verso il cielo. La variazione della luce e la disposizione della vegetazione concorrono alla costruzione di un’architettura aperta e trasparente assecondando la vocazione pubblica dell’edificio. L’edificio è percorribile su più livelli, sia al piano terra grazie alla presenza di scale e percorsi sopraelevati; sia al primo piano con l’organizzazione dell’ampio terrazzo percorribile e delle rampe di scale che accordano il terrazzo ai solarium e questi tra loro, tutti spazi inizialmente pensati per essere aperti al pubblico.

I due corpi di fabbrica sono stati rispettivamente l’uno la sede della biblioteca e dei servizi sociali, l’altro dell’infermeria, ospitando nel tempo anche altre attività della complessa macchina dei servizi sociali della fabbrica, comprendente i servizi delle colonie e quelli del fondo di solidarietà interna Olivetti.

Questa opera rappresenta in maniera significativa il valore che nel dibattito del secondo dopoguerra in Italia e nella cultura architettonica internazionale è assunto dal progetto della comunità di Adriano Olivetti: le strategie dell’industria rispetto all’organizzazione della società mostrano di essere parte del bagaglio culturale degli architetti e alimentano il loro percorso di riflessione teorica e pratica professionale nel campo della costruzione della città industriale, non solo a Ivrea.

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